Cos’ha il cervello da consentire alla mente di funzionare?

Psicologia

Entriamo in dialettica con noi stessi, riflettiamo, facciamoci delle domande sulla natura della mente e sulle sue capacità di essere e di funzionare

Conoscere il cervello

Di fronte alla complessità del cervello un brivido avvolge il nostro corpo, lasciandoci attoniti davanti al mare inconoscibile, ma che pian piano sembra apparire sempre meno segreto. 
A cominciare dalla filosofia fino ad arrivare alle neuroscienze godiamo, oggi, di quel sapere che ci rende un poco più consapevoli delle implicite leggi biologiche che ci riguardano. 
La carta vincente è sicuramente l’approccio multidisciplinare, un approccio dove scambi tra differenti discipline permettono di sopperire ai limiti taciti di ciascuna scienza. Biologia molecolare, genetica, psicologia cognitiva, modelli computazionali, tecniche di neuroimaging, un tutto conoscitivo proprio alle neuroscienze cognitive, che si evidenziano quale ponte tra la neurobiologia cerebrale e lo sviluppo di concetti astratti. 

Dobbiamo agli studi su pazienti epilettici, a cui veniva rescisso chirurgicamente il corpo calloso (blocco dell’intercomunicazione tra l’emisfero sinistro e destro), un metodo che ha dato non solo dei buoni risultati per la cura dell’epilessia ma anche, nel contempo ha permesso di effettuare, sui medesimi soggetti, differenti studi testologici che hanno dato inizio alla comprensione dell’aspetto funzionale del cervello. 

Nasce proprio in seguito di tali ricerche la maggiore evidenziazione della specificità funzionale tra i due emisferi, se non ché, gli studi sul modo in cui il cervello produce memoria, ragionamento, emozioni ecc., che costituiscono il corpus della disciplina che oggi conosciamo come neuroscienze cognitive
Eccoci, dunque, all’obiettivo: conoscere le basi della nostra coscienza e le funzioni che la caratterizzano, la simbolizzazione, l’astrazione, la metaforizzazione, ecc., insomma, conoscere la natura “magica” di quel poco più del 2% di attività mentale che è la coscienza. 

L'apprendimento

Un punto su cui soffermarsi è che l’apprendimento per quanto si sia diversamente pensato per anni, pare che simuli il medesimo meccanismo per selezione proprio al sistema immunitario (una cellula preesistente “immunitaria” riconosce l’antigene e a scopo difensivo comincia a moltiplicarsi e, eventualmente, a mutarsi e a specializzarsi per far fronte, in maniera più efficace, allo stesso).  
 
Nell’apprendimento il tutto sembra avvenire similmente: l’antigene ovvero l’eventuale perturbazione ambientale funge, in un certo qual senso, da selezionatore tra miliardi di schemi e di risposte preesistenti che vengono selezionate per individuare quella più congrua a rispondere meglio alla sfida ambientale in oggetto. 

Ho già affermato che esistono delle specificità funzionali tra i due emisferi, il destro è specializzato nell’elaborazione delle informazioni socio-emozionali
L’emisfero sinistro invece è la sede del linguaggio, del ragionamento analitico, della risoluzione di problemi, della capacità di trarre inferenze e di interpretare le nostre azioni e sentimenti

La maggiore comprensione del funzionamento della mente avviene ancora grazie ai test sui pazienti split brain e sulla convinzione del funzionamento dell’apprendimento per selezione e non per istruzione (per istruzione significa che è l’organismo che risponde all’ambiente).

Il neuroscienziato Michael Gazzanica ci fornisce uno studio molto esaustivo che evidenzia proprio la presenza della funzione di interprete del cervello sinistro. Una funzione preposta alla spiegazione del nostro comportamento. Lo studioso racconta nell’ambito sperimentale dello split brain che, in contesto di studio, venne mostrata alla metà destra del cervello una persona che stava facendo una passeggiata, poi successivamente è stato chiesto al paziente di mimare ciò che stava osservando, questi si alzò in piedi e cominciò a camminare ma al momento di chiedergli cosa stava facendo, fu il suo emisfero sinistro, ignaro di quello che aveva visto il destro, a fornire la risposta attraverso una qualche invenzione razionalizzante, una spiegazione inventata di bell’appunto che ebbe un qualche senso logico (volevo solo bere qualcosa) (M. Gazzanica 2007). 
E’ "l’interprete" che osserva ciò che il soggetto sta facendo e fornisce una qualche spiegazione sensata (a sé stesso), di fatto un lavoro di mantenimento di coerenza personale alla luce dei propri valori conoscitivi. 
 
Il punto è proprio questo, ognuno di noi utilizza il proprio "interprete" per spiegarsi i propri stati emotivi  (ansia, euforia, depressione, panico, rabbia, ecc.), è lui che cerca di dare delle spiegazione sui priori cambiamenti. L’individuo cattura una variazione fisiologica, qualsiasi essa sia, un'emozione che muta ed ecco l’interprete che comincia a costruire la sua teoria di ciò che sta accadendo.  
 
La cosa che colpisce, é che gran parte del lavoro dell’interprete è, spesso, di natura auto-ingannevole, poiché ha solo fine di non contrastare la consueta visione di sé stesso alla luce del contesto ambientale che lo caratterizza. 

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