Realtà virtuale e salute mentale

Psichiatria

Inizialmente fonte di dubbi e perplessità la realtà virtuale è vista oggi, grazie agli studi effettuati in ambito psicologico, come un valido metodo di conoscenza del funzionamento del cervello umano

Sin dai suoi esordi, la realtà virtuale è stata al centro di grandi diatribe che vedevano in questa tecnologia una vera e propria fonte di danni cerebrali, soprattutto nell’opinione degli esperti nel campo della salute mentale. Studi recenti, però, sembrano avere messo in evidenza come questa tecnologia innovatrice, in realtà, celi un vasto potenziale relativo alla conoscenza del funzionamento del cervello umano.

In questi ultimi anni una nuova ondata di ricerca in ambito psicologico si sta interessando di verificare la possibilità che la realtà virtuale non figuri più tra i nemici dello sviluppo cerebrale, ma tra gli strumenti diagnostici e terapeutici a disposizione per vari disturbi come il disturbo d’ansia sociale, il Disturbo da Stess Post Traumatico (PTSD), il dolore cronico e il Morbo di Alzheimer. Molte di queste soluzioni sono ancora in fase sperimentale, ma alcune di loro hanno già ottenuto risultati incoraggianti.

L’utilizzo a scopo terapeutico della realtà virtuale, strumento indiscutibilmente stimolante per il cervello umano, è ancora relativamente nuovo ed è ragionevole chiedersi se una terapia basata proprio sulla realtà virtuale possa costituire una proposta seria e affidabile. Fino ad oggi, le prove acquisite sono in favore di questa nuova terapia e le ricerche più recenti sembrano far pensare a nuovi e interessanti sviluppi.

Realtà virtuale: una terapia collaudata e verificata

Dato il relativo recente interesse verso un impiego di questa tecnologia a favore della salute mentale le società di software e sviluppo che si occupano di creare dei contenuti di realtà virtuale a scopi terapeutici sono al centro dell’attenzione mass mediatica e dell’intero corpo scientifico. Mentre a partire dagli anni ‘90 la realtà virtuale era stata utilizzata con grande successo per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico, i nuovi programmi sono rivolti al trattamento di una gamma ben più vasta di condizioni mediche che comprendono, ad esempio, alcolismo, claustrofobia, depressione e disturbi del comportamento alimentare.

Il nuovi programmi di realtà virtuale sono progettati in larga parte per coadiuvare l’approccio terapeutico dell’ “esposizione progressiva, un trattamento per i disturbi d’ansia attraverso il quale i pazienti vengono esposti a degli stimoli ansiogeni all’interno di un ambiente sicuro e controllato, così da far comprendere che le “minacce” tanto temute non sono, in realtà, così pericolose. Una sorta di decondizionamento controllato e progressivo del paziente affetto da fobie. Ad esempio, una persona che soffre di acrofobia (ovvero della paura delle altezze) potrebbe visitare dei palazzi sempre più alti sotto la guida del proprio psicologo oppure imparare a stare da solo in luoghi elevati per periodi di tempo progressivamente maggiori (il corrispettivo dell’esposizione in vivo). Allo stesso modo un paziente affetto da PTSD potrebbe rivisitare sotto la guida attenta del proprio terapeuta dei ricordi traumatici in occasione di sessioni di terapia basata sull’impiego della realta virtuale (il corrispettivo della esposizione immaginativa).

La realtà virtuale quindi permette agli psicologi di ricreare un ambiente sicuro e ben controllato in maniera più rapida ed economica. L’utilizzo della realtà virtuale offre ai terapeuti un controllo maggiore sull’intensità delle esperienze vissute dai loro pazienti, il che può portare a dei migliori esiti di trattamento.

Realtà virtuale: considerazioni sullo sviluppo di un mercato

Un pensiero andrà fatto sull’impiego a scopi commerciali di questo tipo di applicativi e sull’identità etica degli attori coinvolti, quali associazioni di pazienti, industrie di settore e software houses, centri clinici e non ultimi medici e psicologi. Non tutti i contenuti e gli applicativi relativi alla realtà virtuale saranno uguali e potrà capitare che alcune compagnie presentino video o contenuti di ambienti di realtà virtuale incompleti, non collaudati e che non siano stati approvati dagli esperti o dagli ordini professionali degli psicologi o psichiatri. Per questo motivo comprensibilmente alcuni esperti chiedono l’istituzione di regolamenti e di standard più chiari per poter aiutare i pazienti e i medici ad identificare rapidamente i prodotti più efficaci e sicuri.

Stabilire queste regole, però, richiederà ricerche ulteriori al fine di ottenere dati certi in grado di aiutare gli specialisti a comprendere ciò che rende le terapie basate sulla realtà virtuale efficaci. In particolare sarà importante riuscire a predire quale paziente reagirà in modo positivo all’applicazione della realtà virtuale rispetto per esempio ad altri metodi di cura più “classici” e comprovati da dati scientifici.

Ad esempio, alcuni studi hanno mostrato che i pazienti affetti da PTSD, che soffrono al tempo stesso di depressione quindi in una condizione di comorbilità, tendono a reagire in modo più efficace alla terapia di esposizione basata sulla realtà virtuale rispetto ad altre metodologie di trattamento. Proprio la tecnica classica della esposizione immaginativa può di fatto risultare difficile da applicare nel caso di pazienti che soffrono anche di depressione, a causa della loro reticenza a rivivere determinati traumi. La terapia di esposizione basata sulla realtà virtuale invece dal momento che simula virtualmente eventi e situazioni fortemente stressanti (come ad esempio i campi di battaglia nel caso dei trattamenti dei reduci di guerra) può aiutare i pazienti in comorbilità con depressione a ricordare incidenti ed episodi traumatici in modo più controllato e sicuro al fine di per poter indurre il decondizionamento dalla risposta ansiosa acquisita durante l’esperienza traumatica.

Oltre ad offrire potenzialmente dei migliori risultati nel trattamento, la realtà virtuale potrebbe anche aiutare noi medici nel campo delle diagnosi, soprattutto psichiatriche e psicologiche. Ad esempio, dal momento che la tecnologia può immergere ogni paziente all’interno dello stesso esatto scenario, alcuni ricercatori di questo settore sono convinti che dei test diagnostici basati sulla realtà virtuale per la schizofrenia, l’ADHD disturbo da deficit di attenzione e iperattività o l’autismo, per citarne alcuni, potrebbero offrire dei risultati più oggettivi rispetto a quelli ottenuti con i metodi tradizionali attuali basati fondamentalmente sui colloqui o su questionari.

Realtà virtuale: la diagnosi precoce in medicina

Dal momento che la realtà virtuale può essere usata per riprodurre l’ambiente domestico o quotidiano del paziente col quale egli ha maggiore dimestichezza potrebbe permettere ai medici di verificare e accertare quei sintomi solitamente difficili da decifrare specialmente all’esordio di alcune malattie. In uno studio recente tale ipotesi è stata verificata con esiti positivi per quanto riguarda la diagnosi della malattia di Alzheimer: i ricercatori hanno affermato che il test di realtà virtuale permetteva di diagnosticare i pazienti agli stadi iniziali in modo più accurato rispetto ai classici test cognitivi.

Oltre alla memoria la malattia di Alzheimer colpisce la capacità di orientarsi e di ritrovare la strada e prima della diffusione dei caschi di realtà virtuale i medici non erano in grado di valutare questo deficit. Al contrario, il test di realtà virtuale messo a punto da questi ricercatori chiede ai partecipanti di navigare tra una serie di punti di riferimento all’interno di un semplice paesaggio tridimensionale. I vari punti di riferimento scompaiono una volta raggiunti e, al termine del test, viene chiesto al paziente di ritornare al primo punto di riferimento. La misura della capacità del paziente di trovare il luogo esatto e ritornare alla base è stata in grado di predire se il paziente avrebbe sviluppato la malattia di Alzheimer con un’accuratezza pari al 93% rispetto a quella dei test tradizionali (tra il 64% e il 79%). L’applicazione principale dei test di realtà virtuale potrà avvenire per esempio nella sperimentazione clinica di nuovi farmaci per la malattia di Alzheimer.

Verso uno psicoterapeuta virtuale?

L’utilizzo di psicologi virtuali all’interno dei mondi di realtà virtuale potrebbe avere vari lati positivi, ad esempio, potrebbe rendere il trattamento più accessibile a quei pazienti che non hanno il tempo né il denaro per delle vere sedute di terapia.

Su questo aspetto bisogna necessariamente invitare alla cautela dal momento che la terapia basata sulla realtà virtuale potrebbe presentare qualche rischio. Ad esempio in una sessione di terapia di realtà virtuale guidata da un umano il terapeuta sarebbe in grado, anche in base alla sua esperienza, di monitorare lo stato di attivazione ansiosa del paziente, la sua respirazione ed altri segni vitali osservabili, potendo modificare di conseguenza l’andamento della seduta o interrompendo la sessione qualora il paziente mostrasse segni eccessivi di malessere. Un terapeuta virtuale, invece, potrebbe non essere in grado di reagire a queste situazioni spinose.

Benché potrebbe volerci ancora del tempo prima di vedere la realtà virtuale sostituire completamente le tecniche diagnostiche tradizionali o il proverbiale lettino dello psicologo, questa continuerà ad assumere un ruolo sempre più importante nel trattamento e nella diagnosi delle malattie mentali. Così come accade nel caso di tutte le tecnologie emergenti a grande potenziale, la realtà virtuale finirà con l’essere demonizzata da alcuni e considerata come una panacea da altri. Soltanto un uso accorto e mediato della stessa potrà renderla un utile e sempre meno alternativo approccio alla cura della salute mentale.

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